Gesù caccia i mercanti dal tempio
E fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio, pecore e buoi; e sparpagliò il danaro dei cambiamonete, e rovesciò le tavole (Giovanni 2:15)
“Perché mi cercavate?” aveva chiesto Gesù dodicenne a Maria, “non sapevate che dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” (Luca 2:50). L’Eterno disse a Salomone: “Ho santificato questo tempio che tu hai edificato per mettervi il mio nome per sempre; là saranno sempre i miei occhi e il mio cuore” (1 Re 9:13). Il tempio è il luogo dell’incontro amorevole tra Dio e il suo popolo, là Egli esaudirà le preghiere e perdonerà i peccati, nel luogo del sacrificio, là sarà invocato il suo nome. L’inaccessibile “Io sono”, l’Onnipotente si lascerà trovare poiché è il Dio del patto, il Dio della promessa: “E tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza” (Genesi 28:14). Così si presenta a Mosè quando gli appare nel roveto ardente: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abrahamo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” (Esodo 3:6). “Questo è il mio nome in perpetuo” (Esodo 3:15). Il suo nome è ciò che Egli è per noi, in relazione a noi, il misericordioso e il benigno, ma anche colui che prova i cuori, il giudice e remuneratore dei giusti e degli empi. La profanazione del tempio equivale alla profanazione del nome di Dio. “Or la Pasqua dei giudei era vicina, e Gesù sali’ a Gerusalemme. E trovò nel tempio venditori di buoi, di pecore, di colombi e i cambiamonete seduti; fatta quindi una frusta di cordicelle, li cacciò tutti fuori del tempio insieme con i buoi e le pecore, e sparpagliò il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò le tavole, e ai venditori di colombi disse: “Portate via da qui queste cose; non fate della casa del Padre mio una casa di mercato” (Giovanni 2:13-16). Non è consentito dissacrare il nome dell’Eterno Dio. Già nella sinagoga aveva guardato con indignazione i farisei che cercavano un pretesto per accusarlo, rattristato per la durezza del loro cuore (Marco 3:5), ma qui l’indignazione di Gesù di fronte al peccato esplode impetuosa. In questo luogo, dove Dio ha posto i suoi occhi e il suo cuore, la commistione fraudolenta con ciò che rinnega la sua santità, “un covo di ladroni” (Matteo 21:13), accende il furore incontenibile di Gesù. I suoi occhi di fuoco e la sua passione sono la sferza che colpisce e annienta. “Sia santificato il tuo nome” è la prima richiesta della nostra preghiera, come Gesù ci ha insegnato. “Così i suoi discepoli si ricordarono che stava scritto: Lo zelo della tua casa mi ha divorato”. Il riferimento è al Salmo 59:9 di Davide che continua: “e gli oltraggi di chi ti oltraggia sono caduti su di me”. L’oltraggio è la violazione di un limite, un’offesa smisurata. Lo sdegno di fronte all’irriverenza che non riconosce la santità e la giustizia di Dio, che non ha timore del suo nome, è insopprimibile. In ogni pagina della Scrittura le più dure parole sono contro coloro che malvagiamente usano una pretesa confessione di fede come scudo per ogni traffico illecito. Questo è accaduto a Gerusalemme in quel tempo, è accaduto in tutti i tempi e luoghi della storia e accade ancora oggi. Di questo pericolo di rovinosa caduta ci avverte il nostro Signore, poiché l’ira di Dio incombe sugli oltraggiatori e sui falsari della Parola. In Apocalisse Giovanni vede su una nuvola “uno simile a un Figlio d’uomo, il quale aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce tagliente” (14:14). È il tempo della mietitura e della vendemmia e nella visione “l’uva fu gettata nel gran tino dell’ira di Dio. Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì tanto sangue” (14:19-20). “È cosa spaventevole”, scrive Paolo, “cadere nelle mani del Dio vivente” (Ebrei 10:31). Il nome di Dio è santificato mediante la misericordia della Grazia, poi lo sarà mediante la severità del Giudizio. Dopo avere cacciato i venditori Gesù risponde ai giudei che gli chiedono un “segno” che giustifichi l’espressione di quell’autorità: “Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo ricostruirò”. Neppure i discepoli compresero che parlava del tempio del suo corpo. Gesù è il tempio spirituale, il luogo dell’incontro amorevole, in lui si adempie ogni profezia. Gesù è l’espressione in forma umana di ciò che Dio è nel nome che ci ha dato. Si legge in Ezechiele: “Le nazioni riconosceranno che io sono l’Eterno, dice il Signore, quando sarò santificato in voi davanti ai loro occhi” (36:23). Per il sacrificio di Gesù noi siamo il tempio che reca la testimonianza della santità di Dio davanti al mondo. Questa la promessa che emerge dagli scritti degli antichi profeti e che avrà potente e tangibile conferma in Atti degli apostoli. Siamo discendenza spirituale di Abrahamo, di Isacco e di Giacobbe e siamo i custodi del patto. La promessa del Genesi trova piena realizzazione in Apocalisse. Giovanni vede l’Agnello e i redenti “che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulle loro fronti” (14:14). Egli ci ha affidato la rivelazione di se stesso, quanto vi è di più prezioso e inviolabile. E questa rivelazione, questo nome glorioso sarà la nostra identità per sempre.