Dipinto che raffigura la lavanda dei piedi

La lavanda dei piedi

Poi mise dell'acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto. (Giovanni 13:5)

Gesù sa che è arrivata l’ora del suo sacrificio; dopo l’ultima desiderata cena con i suoi discepoli, rivolgerà loro le esortazioni finali, le promesse del Consolatore e del Suo ritorno, li rassicurerà e pregherà per loro. Ma c’è ancora tempo per un ultimo prezioso insegnamento. “Si alzò dalla cena e depose le sue vesti; poi, preso l’asciugatoio, se lo cinse. Dopo avere messo dell’acqua in una bacinella, cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui era cinto”. Già in altra occasione Gesù ha precisato il valore del servire ma come per esaltarne l’umiltà. “Chiunque voglia diventare grande tra voi, sarà vostro servo” (Marco 10:43). Ora però il messaggio raggiunge una complessità e profondità diverse. Questa volta non usa la parola ma offre un’esperienza, mostra la concretezza di un atto, di ciò che chiamiamo servire, che significa provvedere al necessario e utile per il benessere di un altro. Ancora una volta Gesù sconvolge la struttura della nostra scala dei valori e Pietro rimane stupito: “Signore, tu lavi i piedi a me?” “Tu non mi laverai mai i piedi. Gesù gli rispose: Se non ti lavo non avrai nessuna parte con me”. Questo gesto è indispensabile ai fini della comunione, dell’appartenenza, della relazione. Lavò i piedi anche a Giuda Iscariota, che aveva già in cuore di tradirlo, e questa fu la sua parte. Gesù infine dichiara apertamente: “Io vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io facciate anche voi”. È un messaggio chiaro e inequivocabile per la chiesa che verrà dopo la sua morte e resurrezione. Paolo in I Corinzi (12:7) affermerà: “A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene degli altri” e in Romani (12:5) “noi che siamo molti, siamo un medesimo corpo in Cristo”. Paolo racconta una verità profonda e gloriosa, la finalità dello Spirito e la stretta relazione di appartenenza reciproca tra i seguaci dell’Evangelo. La chiesa non è l’insieme dei credenti ma un organismo vivente in cui c’è perfetta sinergia tra le singole parti, un’attività simultanea finalizzata alla crescita. Dallo Spirito questo corpo trae sviluppo nella misura della forza di ogni singola parte “per l’edificazione di se stesso nell’amore” (Efesini 4:16). La Scrittura ci rivela che la grazia è data in misura diversa a ognuno secondo la volontà di Dio. Così nella parabola dei talenti (Matteo 25:14-28), un signore affida i suoi beni ai servi, “a ciascuno secondo la sua capacità”, e parte per un viaggio. Al suo ritorno, dopo molto tempo, chiederà conto dell’amministrazione di quel denaro e premierà coloro che lo avranno saputo investire guadagnandone altrettanto, mentre colui che lo ha nascosto, per paura di perderlo nel fallimento delle sue imprese, sarà cacciato via nelle tenebre. I doni spirituali sono distribuiti a ciascuno affinché si moltiplichino per la prosperità di tutti. Nessuno deve sentirsi incapace o inutile, “anzi le membra del corpo che sembrano essere le più deboli, sono molto più necessarie delle altre”, dice Paolo (I Corinzi 12:22). Anche il più piccolo e fragile avrebbe comunque qualcosa da offrire, se non altro l’opportunità al più forte di esercitare la sua funzione di sostegno. Scopriamo ancora una stoltezza della nostra mente naturale secondo la quale colui che è stato creato può bastare a se stesso e sussistere senza dare ne’ ricevere. Questo principio di reciprocità si presenta con la forza della necessità nella relazione tra le diverse forme di vita del nostro pianeta. Le api che impollinano le orchidee non potrebbero esistere senza quei fiori, il colibrì, il più piccolo uccello, è indispensabile alla foresta in cui abita. Parola di sapienza, parola di conoscenza, fede, profezia che proclama le verità di Dio, ministeri, ma anche doni di assistenza e di governo, di esortazione e di accoglienza sono dati affinché la benedizione di ognuno si riversi su ogni altro. Questa la nostra alta vocazione, assomigliare a Gesù nel servire, questa la nostra ragion d’essere nel corpo. L’interazione nel donare noi stessi, il nostro tempo, l’attenzione e la cura, ci fa crescere nell’amore, ci fa camminare anelando a ciò che è eterno. Mentre nella naturale esperienza umana le differenze suscitano divisioni e sopraffazione, Gesù trasforma i nostri rapporti di potere in rapporti d’amore in cui ogni differenza sfocia nell’unità. Nessuna casa può sussistere se è divisa, disse il Signore, la forza della coesione è nel legame d’amore. L’unità dello Spirito nei credenti genera l’unita’ del corpo. Così Paolo in Romani (12:5) conclude il verso: “e ciascuno siamo membra l’uno dell’altro”. Piangiamo con le lacrime dei nostri fratelli e ci rallegriamo con i loro sorrisi. Riecheggiano le Sue dolci, inarrivabili parole: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Giovanni 15:12-17). Il tuo glorioso Spirito, Signore, venga in noi, per amare.

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