Parabola della lampada
Disse loro ancora: «Si prende forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? Non la si mette piuttosto sopra il candeliere?Poiché non c'è nulla di nascosto che non sia manifestato, né nulla di segreto che non sia palesato. Chi ha orecchi da udire, oda!». Disse loro ancora: «Fate attenzione a ciò che udite. Con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato a voi; e a voi che udite sarà dato di più. Poiché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, gli sarà tolto anche quello che ha» (Marco 4:21-25)
“L’Eterno è la mia luce e la mia salvezza”, scrive Davide (Salmo 27:1), la Luce è Dio stesso e Giovanni nella prima lettera: “Dio è luce e in lui non vi è tenebra alcuna” (1:5). La creazione avviene nell’espressione del dualismo che separa e distingue, in primo luogo i cieli dalla terra, poi sulla terra vuota e tenebrosa, Dio disse: “Sia la luce! E la luce fu” (Genesi 1:3). Dio creò un mondo fisico, naturale mediante la luce della Parola che fa apparire dal nulla ogni singola esistenza. Similmente, nel caos del peccato diffuso nel mondo umano la Parola di Dio, quale faro nella notte, orienta e guida i naviganti verso rotte sicure. Questa è una luce che accentua i contrasti, dura e cruda poiché manifesta ciò che si nasconde nell’indolenza, nella ipocrisia, nella malvagità. La luce che Dio accende sul mondo è diretta, dura e drammatica perché evidenzia le ombre, esalta ogni minimo dettaglio. “Ma tutte le cose, quando sono esposte, divengono manifeste, poiché tutto ciò che è manifestato è luce” (Efesini 5:3). La luce separa e distingue la verità dalla menzogna, la santità dalla malvagità; stabilì l’ordine nella struttura della materia, determinò il confine spirituale tra la vita e la morte. “Prestami attenzione, o popolo mio, ascoltami o mia nazione”, dice l’Eterno, “perché da me procederà la legge e stabilirò il mio diritto come luce dei popoli” (Isaia 51:4). Perciò i profeti proclamarono l’avvento del Messia: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce: su coloro che abitavano nel paese dell’ombra della morte, si è levata una grande luce” (Isaia 9:1). Così Gesù presenta se stesso: “Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Giovanni 8:12). Nei Vangeli di Marco e di Luca la similitudine della lampada segue la parabola del seminatore, ne è l’inevitabile, chiara conseguenza, poiché il frutto del buon terreno in cui è stata seminata la Parola è luce diffusa, anche se l’intensità è variabile in relazione al dono di Dio. Stupefacente in Matteo, la franchezza con cui Gesù durante il sermone sul monte si rivolge direttamente ai suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo; una città posta sopra un monte non può essere nascosta. Similmente, non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma nel candeliere, perché faccia luce a tutti coloro che sono in casa” (5:14-15). Questa dichiarazione reca in sé l’infallibile volere dell’Onnipotente. Gesù non ha mai cercato di persuadere gli uomini, egli rivela i decreti di Dio, e parla delle Scritture “come uno che ha autorità” (Luca 4:32). È l’ineluttabile risposta all’imperativo che è nella voce del Maestro: “Seguimi!”. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi; e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto...” (Giovanni 15:16), e questo frutto è il discernimento che Egli ci dona mediante la sua luce. C’è una verità sconvolgente, annunciata dall’Evangelo, di cui talvolta non siamo pienamente consapevoli, infinitamente al di sopra di ogni umana aspettativa: “Quale Egli è”, scrive Giovanni “tali siamo anche noi in questo mondo” (1:4-7). E noi siamo i discepoli, i redenti, i figli dell’Altissimo, “tutti quelli che si chiamano con il mio nome” dice l’Eterno Dio, “che ho creato per la mia gloria, che ho formato e anche fatto” (Isaia 43:7). La nostra coscienza, la coscienza di noi stessi, ha un ruolo fondamentale nel testimoniare la salvezza in Cristo Gesù. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5:16). Siamo la città sul monte e siamo la lampada che Egli ha acceso con il fuoco del suo amore. Un avvertimento che nell’insegnamento del Maestro è pressante e continuo, è presente anche in questo racconto, nei Vangeli di Marco e di Luca, e anche in Matteo nella parabola del seminatore. L’ammonimento, di importanza capitale, attraversa l’Evangelo fino a insistere nell’Apocalisse con questa frase ricorrente rivolta alle sette chiese: “Chi ha orecchie da udire oda”. Gesù si è fermato per una pausa, è solo con i suoi, sta confidando loro i misteri del Regno: “Fate attenzione a ciò che udite”, li avverte, e continua: “Con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato a voi; e a voi che udite sarà dato di più” (Marco 4:24). Questo prezioso suggerimento che a una prima lettura potrebbe non apparire direttamente connesso al contesto in cui si trova, ne è invece la chiave di volta. È il segreto di ogni comprensione, il perfetto e buon udire, la rivelazione del fondamento divino della salvezza e della testimonianza. È il tocco di Dio che vuole illuminare i cuori. La retta misura dà luogo all’accendersi della lampada, la compassione è la scintilla che rende manifesta l’effusione della luce nel mondo. Così conclude il Signore: “Poiché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha gli sarà tolto anche quello che ha” (Marco 4:25). È un ammonimento, è un invito appassionato alla vigilanza e alla perseveranza, perché le nostre lampade restino accese finché lo sposo arriverà: “Le vergini pronte entrarono con lui per le nozze; e la porta fu chiusa” (Matteo 25:10).