Gesù, Signore del sabato
“Resta dunque un riposo di sabato per il popolo di Dio. Chi infatti è entrato nel suo riposo, si è riposato anch’egli dalle proprie opere, come Dio dalle sue” (Ebrei 4:9-10).
Dapprima Dio creò il tempo, poi lo spazio e in esso la materia inorganica, quindi gli esseri viventi vegetali e animali, infine l’uomo a cui consegnò la terra per governarla e custodirla. “E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creato e fatto” (Genesi 2:3). In questo settimo giorno, indefinito, non delimitato ne’ concluso avviene l’ultimo atto della creazione, il suo compimento:"Pertanto il settimo giorno Dio terminò l’opera che aveva fatto...” (Genesi 2:2) e trovò ristoro nel godimento delle sue creature. Dall’eternità entrò per la prima volta nel tempo dell’uomo poiché è nel tempo l’accesso alla sua presenza prima che in ogni altro futuro luogo consacrato. “Gesù camminava in giorno di sabato tra i campi di grano; ora i suoi discepoli ebbero fame e si misero a svellere le spighe e a mangiarle. Ma i farisei, veduto ciò, gli dissero: Ecco i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare in giorno di sabato”. L’osservanza del sabato è un comandamento fondante della Scrittura: “Ricordatevi del giorno di sabato per santificarlo” (Esodo 20:8). In Levitico: “È il sabato consacrato all’Eterno in tutti i luoghi dove abiterete” (23:3). In Ezechiele si ribadisce che il sabato è già un “patto perpetuo” tra Dio e il popolo: “Diedi loro i miei sabati, affinché fossero un segno fra me e loro, perché conoscessero che io sono l’Eterno che li santifico” (20:12). Le incontenibili parole della Scrittura prorompono nel tempo finito dell’uomo dichiarandolo santo, rendendolo santo, conferendogli un attributo che appartiene solo a Dio. La sospensione del travaglio delle ore quotidiane e della fatica del lavoro riconsegna, seppure parzialmente, il tempo dell’uomo, degradato a causa del peccato di Adamo, alla sua primigenia finalità, la relazione amorevole tra il Creatore e le sue creature. In Esodo l’Eterno si rivolge a Mosé:”Dì ai figli d’Israele che mi facciano un’ offerta; accetterete l’offerta da ogni uomo che la fa spinto dal proprio cuore” (25:2). Ma i religiosi farisei vivono il sabato come un precetto formale, l’osservanza esteriore di una regola, non ne hanno compreso l’intrinseco valore, non hanno alcun rapporto con il Creatore. Gesù risponde ricordando l’episodio narrato in I Samuele in cui Davide con il suo seguito avendo fame, entrò nel tempio e prese i pani di presentazione che la legge aveva riservato solo ai sacerdoti. Nel corso del suo insegnamento Gesù operò insistentemente perché si rivelasse il profondo significato del sabato. Anche nella sinagoga si videro spesso miracoli di guarigione in giorno di sabato e perciò non graditi ai farisei. Nell’episodio della guarigione dell’uomo dalla mano secca egli risponde: “Io vi domando: È lecito nei giorni di sabato, fare del bene o fare del male, salvare una persona o ucciderla?” (Luca 6:9). Astenersi dal fare il bene per qualsiasi ragione è già un’azione malvagia. Gesù denuncia l’ambiguità di quei simulatori che non si curano del sabato se questo lede i loro interessi ma disputano e condannano chi ne onora la santità operando il bene. “Il sabato è stato fatto per l’uomo non l’uomo per il sabato” annuncia il Signore (Marco 2:27). La santità del sabato si esprime nella misericordia. Questa la rivelazione nel racconto di Matteo: Ora, se voi sapeste che cosa significa “Voglio misericordia e non sacrificio”, non avreste condannato gli innocenti. L’uomo naturale, nella sua egocentrica debolezza ha inclinazione per i rituali, dai quali trae una vacua sicurezza e una facile approvazione sociale. La condotta formale e abitudinaria alimenta il conformismo, la gregarieta’, la dipendenza; dall’abito religioso originano molte e gravi sciagure, il dominio dell’uomo sull’uomo mai scevro da violenza e crudeltà, come anche la storia ci insegna. L’abito religioso sostiene una menzogna e conduce, dice il Signore, alla condanna dell’innocente. Il sabato di Dio è un segno di somiglianza e di appartenenza: “Camminerò tra voi e sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo” (Levitico 26:12). La profanazione del sabato, nella inosservanza e nell’ipocrisia è un terribile oltraggio nei confronti dell’Eterno Dio, un rifiuto colmo di ingratitudine e ostinatamente ribelle, meritevole della morte. Gli increduli e i disubbidienti non entrarono nel riposo della terra promessa, morirono nel deserto stroncati dalle proprie trasgressioni. L’unico mezzo per entrare nel riposo di Dio è la fede, l’unica possibilità di relazione con la Maestà divina è nell’obbedienza. Gesù ha evocato episodi esemplari avvenuti nel tempio e continua rivelandosi: “Ora io vi dico che qui c’è qualcuno più grande del tempio”. Egli è il riposo salvifico, la liberazione dai turbamenti e dalle afflizioni del peccato, il tramite ineludibile: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me...” (Matteo 11:28). Sono stato afferrato da Cristo, scriverà Paolo, sono preso, suo prigioniero. La forza dell’amore di Dio ci lega a sé, la potenza del suo desiderio di redenzione per le nostre anime ci stringe al suo giogo e placa le nostre inquietudini. Prima dell’episodio nel campo di grano Matteo aveva narrato l’intima unità tra il Padre, Signore del Cielo e della terra, e il Figlio a cui il Padre ha dato il potere su ogni cosa, e ora conclude: “Perché il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato”. Quel riposo del settimo giorno non si concluse al tempo della creazione ne’ si realizzò al tempo di Giosuè, come dice l’autore della lettera agli Ebrei, poiché attraversa l’oggi, il tempo della grazia, e giungerà infine nell’eternità della nuova Gerusalemme, la santa città. “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, ne’ cordoglio ne’ grido ne’ fatica, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21:4). E il Padre giubilerà guardando l’opera delle sue mani, e il Figlio sarà soddisfatto del frutto del suo sacrificio (Sofonia 3:17 ; Isaia 53:11).