Gesù e la samaritana al pozzo di Giacobbe
... Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe; e là c'era la fonte di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del cammino, stava così a sedere presso la fonte. Era circa l'ora sesta. Una donna della Samaria venne ad attingere l'acqua. Gesù le disse: «Dammi da bere» ... La donna samaritana allora gli disse: «Come mai tu che sei Giudeo chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» Infatti i Giudei non hanno relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: "Dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva» ... (Giovanni 4:1-42).
C’è dolcezza e soavità nel dialogo tra Gesù e la samaritana al pozzo di Giacobbe. Tocca il cuore profondamente ed è ricco di significato e di suggestione. È la rivelazione che il Signore fa di se stesso a una straniera, idolatra, insignificante in quanto donna per la tradizione e la cultura del tempo, la cui compagnia è disdicevole per un giudeo. Gli stessi discepoli, giunti alla fine di quell’incontro, si meraviglieranno che parlasse con una donna. Il ritmo del colloquio è serrato e denso di spiritualità. La donna è stupita ma accetta il confronto, dapprima non c’è comunicazione poiché sono di fronte due livelli di coscienza incompatibili, lo spirituale e il naturale, ma man mano che il dialogo procede le ombre si diradano in lei finché lo riconosce: “Signore, vedo che tu sei un profeta”. È straordinario notare che Gesù che di solito parla in parabole e solo ai discepoli in disparte confida i segreti del Regno, qui invece esprime Verità, salvezza e Spirito apertamente, finché quando la donna dichiara di credere nel Messia annunciato dagli antichi profeti, Egli si dona interamente: “Io sono, colui che ti parla”. Questa piena rivelazione fa tremare il cuore per il suo smisurato valore. Gesù ha apprezzato la sincerità di lei che equivale alla autocoscienza del peccato: “Io non ho marito”, poiché Dio si gloria nella misericordia e la misericordia è accesa dalla debolezza e dall’umiltà. Ricordiamo l’elezione in 1 Corinzi (1:27-29): “ma Dio ha scelto le cose stolte del mondo per svergognare le savie; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; e Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose spregevoli e le cose che non sono per ridurre al niente quelle che sono affinché nessuna carne si glori alla sua presenza”. E vengono svergognati i farisei sapienti della sinagoga quando Gesù li riprende dichiarando: “In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria” (Luca 4:24). Donna, straniera, idolatra, peccatrice. Le parole di Gesù risvegliano in lei una consonanza interiore che si apre alla fede. Ed Egli le rivela persino il piano di Dio: “ la salvezza viene dai giudei”. Questo è il mistero rivelato a Paolo (Efesini 3:1-6), mistero perché rimase nascosto agli uomini e anche ai principati e alle potestà celesti fino alla risurrezione del Cristo: “per la loro caduta (di Israele) la salvezza è giunta ai gentili per provocarli a gelosia” (Romani 11:11). La dispensazione della grazia ha fatto sì che l’olivo selvatico fosse innestato nell’olivo domestico, il popolo di Dio, del quale erano stati troncati i rami, poiché avendo ricevuto le promesse poi non aveva accolto l’Evangelo. La gloriosa Parola di Dio si snoda stupendamente dall’Antico al Nuovo testamento con coerenza e analogia. Gesù stesso richiama alla memoria (Luca 4:25-27), il tempo di Elia quando Dio, nonostante ci fossero molte vedove bisognose in Israele inviò il profeta alla vedova di Sarepta di Sidone. E accadde al tempo di Eliseo che Dio, nonostante ci fossero molti lebbrosi in Israele inviò il profeta a guarire dalla lebbra Naaman il Siro. La parabola del Convito nella sua semplice narrazione enuclea uno dei fondamenti del Regno: poiché gli amici i naturali invitati del Signore, ipocriti e infedeli, rifiutano la propria partecipazione al banchetto, Egli riempie la propria casa con gli emarginati della società, mendicanti e storpi, disprezzati e reietti. Paolo dirà: “la potenza di Dio è portata a compimento nella debolezza” (1 Corinzi 12:9). Le nostre debolezze sono la risorsa attraverso cui opera lo Spirito, se la nostra coscienza le riconosce umiliandosi. Dio trasforma la debolezza in forza. “Fa’ ch’io sappia quanto sono fragile” (Salmo 39:4).